Com'è strano il caso

L'uomo con il cappello e la camicia color mattone era alla sua terza brioche alla marmellata.
Si infilava mezzo croissant in bocca inclinando il capo per non far scivolare la confettura sulla guancia. Con l'altra mano mescolava lo zucchero nel caffè da qualche minuto. Ormai era strapazzato come le uova. Il tutto si svolgeva nel bar dell'ospedale mentre attendevo un cappuccino tiepido con poca schiuma. I jeans gli strizzavano una vita tutt'altro che sottile ed erano sorretti da un paio di bretelle a quadri inglesi. Era buffo a vederlo, e tenero al tempo stesso. Quei mocassini senza calze erano in stridente contrasto con il resto del look, ma a me piaceva un sacco..
Il cappotto, grigio antracite, glielo reggeva la moglie, o compagna che fosse, accanto silenziosa, mentre sorseggiava un succo alla pesca ghiacciato. Lo capivo dal vetro opacizzato dalla condensa del bicchiere. Lei, dal viso gentile, mi regalò un sorriso compiacente, ed io pure. Mi colpì la spilla a forma di bassotto che aveva sulla camicetta. Non per il bassotto, grande quanto il colletto della camicia, ma per il verde smeraldo che attirava la mia attenzione. Un verde brillante, che risaltava la forma del cagnolino.
Poi mi incamminai verso gli ascensori. Dovevo essere in reparto alle dieci e un quarto per un nuovo appuntamento. Nella fretta, l'agenda che tenevo sotto al braccio mi scivolò per terra lasciando sparpagliare una marea di fogli e appunti svolazzanti. Mi chinai per raccoglierli e casualmente ritrovai ad aiutarmi l'uomo con la camicia color mattone e la sua donna, tra il brusio minaccioso della folla di fronte al pronto soccorso. La donna rimase colpita dal mio braccialetto. "E' un bellissimo colore signorina. Argento liquido screziato di turchese". Mi piacque la precisa descrizione. Sofisticata e colta.
I signori furono molto gentili e mi chiesero un' informazione: "Scusi signorina come si arriva al terzo piano?".
"Vedete gli ascensori laggiù ?" dissi segnando con il dito puntato e il braccio teso davanti a me, "Premete il numero tre e arriverete su al terzo piano".
Non feci neanche il tempo a dire loro che li avrei accompagnati che già erano volatilizzati.  Puff. Spariti in un soffio.
Purtroppo però, davanti agli ascensori, la coppia non aveva ancora capito quale tasto premere. L'uomo confondeva il tasto allarme con quello numerato. La donna il tasto chiudi porte con quello opposto. Ma quello che i miei occhi imbarazzati vedevano era soltanto una macchia di bagnato abbastanza grande sui pantaloni dell'uomo. Forse gli era scappata un po' di urina. Poverino. Provai uno strano senso di compassione e pena. Soprattutto perchè nell'ascensore c'erano almeno cinque persone che lo fissavano.
L'uomo, col cappello in mano e il cappotto solo sulle spalle non si era accorto di nulla e nemmeno sua moglie. Decisi di seguirli. Li avrei aiutati in reparto. In fondo si stavano dirigendo nel mio stesso piano. Un sesto senso mi diceva che forse la coppia avrebbe potuto essere quella che attendevo.
I primi ad uscire dall'ascensore furono loro.
La signora mi attese per poi avvicinarsi a me con molta eleganza. Sembrava una donna uscita dalle pagine patinate di una rivista del primo dopoguerra. "Stiamo cercando Fanni", mi disse con una voce morbida come il velluto.
Ecco, il mio sesto senso non aveva fallito. Erano loro i miei pazienti.
Mi immaginavo di dover aiutare il signore a risolvere una qualche forma di incontinenza con una serie di esercizi. Stavo già pensando a tutta la seduta. Invece...
La paziente era la signora! Si trattava di una paziente portatrice di urostomia, un sacchettino adesivo sull'addome che raccoglie l'urina. Era stata operata in un altro ospedale e cercava il supporto di una stomaterapista.
Ciò che era successo al marito era semplicemente un incidente. La barista aveva appoggiato un cappuccino accanto a lui e la tazza era finita sui suoi pantaloni ! Ma la mia deformazione professionale non poteva condurmi altrove!.
La donna mi guardava sorridente, era felice di ritrovarmi là. Nemmeno lei poteva credere alla coincidenza. Il marito, scusandosi per l'accaduto, le sorreggeva la borsa tenendole una mano ruvida sulla spalla, in segno di protezione. Lei ogni tanto gli strizzava l'occhiolino mentre lo invitava a stare attento a non tirare qualche filo della maglia con la mano screpolata. Lui rispondeva a tutte le domande rivolte a lei dimostrandomi di essere un perfetto conoscitore di abitudini, gusti e storia medica della sua dolce metà. Mi disse di essere lui a cambiare la placca ed il sacchetto dalla pancia della moglie; di saper fare tutto alla perfezione. Lei annuiva soddisfatta.
Poi d'un tratto, lui scivolò con la mano sul ginocchio di lei cingendole con un braccio le spalle magre e strette. Le dita presero a lisciarle i capelli.  Era una scena estremamente romantica e insolita ai nostri giorni.
Ve l'assicuro, una bellissima coppia. Dove non c'erano telefonini o smartphone in mezzo a disturbare l'attenzione. Una coppia che si parla, si sostiene e si accompagna nella malattia. Centosessantanni in due e una vecchiaia lontanissima.
Una coppia in cui tutto è quadrato, dritto e razionale. Un rapporto essenziale e rigoroso, resistente, sporcato di baci appena appena, che soffiano aria leggera tra i problemi. Una coppia che supera tutto e tutti, compresa la malattia,  anche con la pelle accapponata e i capelli formicolanti, istintivamente fiduciosa. Una coppia che fa parlare di sè.







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